Il recente volume Perché non mangiare gli animali – édito per la collana Echi dei tipi di Bompiani – ripropone la traduzione italiana del De abstinentia (περὶ ἀποχῆς ἐμψύχων) di Porfirio di Tiro (233?-305) procurata da Angelo Raffaele Sodano, pubblicata post mortem a cura di Giuseppe Girgenti nel 2005 (Porfirio, Astinenza dagli animali. Testo greco a fronte, prefazione, introduzione e apparati di G. Girgenti, traduzione e note di A. R. Sodano, Milano, Bompiani, 2005); il volume si apre con un’introduzione (pp. 6-10) a cura di A. Ambrogio (Creature leggere); segue la traduzione (p. 183) una breve notizia biografia su Porfirio di Tiro.

Il De abstinentia è un testo fondamentale all’interno della storia della cultura per due motivi: anzitutto, per le argomentazioni proposte a favore del vegetarianesimo (molte delle quali ancora oggi riproposte all’interno del dibattito pubblico); inoltre, Porfirio, con la cura filologica che lo caratterizza, si premura di accludere alla sua esposizione una notevole quantità di citazioni tratte da storici e filosofi (e. g. Teofrasto, Dicearco, Plutarco) che hanno trattato, prima di lui, dell’astensione dalla carne: così facendo, Porfirio ci permette di ricostruire un lungo dibattito, dispiegatosi su più secoli, e di conoscere le opinioni di chi lo ha preceduto.

L’opera si configura come un trattato in quattro libri dedicato a Castricio Firmo, un membro della cerchia di Plotino (vd. Porph. Plot. II, VII) che aveva smesso di praticare uno stile di vita vegetariano: Porfirio si propone dunque di ripercorrere le argomentazioni a favore e contro una dieta vegetariana per persuadere l’amico a ritornare a un’alimentazione priva di carne. Ogni libro è dedicato a un argomento specifico: nel primo, dopo aver confutato chi difendeva l’alimentazione a base di carne, Porfirio sostiene che l’alimentazione vegetariana è la migliore per la vita del saggio; nel secondo, sono condannati i sacrifici animali in onore degli dèi, poiché in realtà questi non si rivolgono alle divinità ma a dèmoni cattivi; nel terzo, Porfirio descrive la presenza di una certa razionalità negli animali, pur inferiore a quella degli esseri umani; infine, il quarto libro è dedicato alla raccolta di testimonianze tratte da varie comunità in cui si adopera l’astinenza dalla carne.

Delle lunghe, articolate e ben argomentate tesi porfiriane, ve ne è una molto toccante: il vegetarianesimo come esercizio di filantropia e giustizia. Leggiamo le parole di Porfirio (Abst III 20, 7; 26, 6 = pp. 128, 138-139):

«In seguito, a queste azioni l’istinto omicida e bestiale che è in noi e l’insensibilità davanti alla sofferenza furono rafforzati e i primi che ebbero questa audacia svigorirono la maggior parte della mitezza. Ma i Pitagorici fecero della bontà verso le bestie un esercizio di umanità e di pietà (Οἱ δὲ Πυθαγόρειοι τὴν πρὸς τὰ θηρία πραότητα μελέτην ἐποιήσαντο τοῦ φιλανθρώπου καὶ φιλοικτίρμονος.). Come, dunque, essi non hanno stimolato alla giustizia (δικαιοσύνη) più di coloro i quali dicono che in seguito a questa pratica è stata eliminata la giustizia abituale? L’abitudine, infatti, è capace di portare lontano l’uomo con la graduale familiarizzazione dei sentimenti […] Perché a chi non è chiaro che la giustizia si accresce con l’astinenza? Infatti, chi si astiene da ogni essere vivente, anche se questi non entrano con lui in società, molto di più si asterrà dal danneggiare l’essere che è del suo stesso genere. Ché colui il quale ama il genere non odierà la specie, ma piuttosto quanto più amerà il genere degli animali, tanto più osserverà la giustizia nei riguardi della parte e di ciò che gli appartiene»

Se gli animali posseggono una razionalità e una capacità sensitiva paragonabile a quella umana – la lezione di Aristotele è qui evidente –, l’esercizio dell’astensione dalla carne può divenire occasione per gli esseri umani di riscoperta di una bontà e di una giustizia da adoperare anche nei confronti delle altre persone facenti parte della società. Porfirio ci mostra che l’astenersi da un’azione violenta può essere una grande occasione di crescita personale e sociale: un’argomentazione, questa, ripresa da molte battaglie antispeciste (e non), e vòlta a smascherare i meccanismi di potere e violenza che si replicano, più o meno inconsciamente, anche nei rapporti interpersonali.

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